Potere digitale: l’introduzione al libro

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Per chi fosse interessato ad un’anteprima di “Potere digitale: come Internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia” (Meltemi 2018, con la prefazione di Michele Sorice), si riporta di seguito l’introduzione al libro.

Da un lato le nuove tecnologie e la velocità del cambiamento nelle comunicazioni. Dall’altro lato la democrazia, una forma di governo che viene da lontano, con i suoi ritmi e le sue procedure. Al centro alcune domande che intendiamo affrontare in questo lavoro: come Internet modifica la sfera pubblica e il dibattito democratico? Gli intermediari tradizionali, fra cui i partiti e i giornalisti, sono ancora i protagonisti del discorso pubblico? Oppure a quelli tradizionali si stanno sostituendo nuovi intermediari, inediti centri di potere di cui dobbiamo tenere conto? In che misura Internet e le dinamiche delle piattaforme web entrano in relazione con l’ideale democratico e pluralista? Internet promuove un pluralismo dialogico o rischia di nutrire un “pluralismo polarizzato”? Infine, la democrazia rappresentativa potrebbe essere affiancata da altre modalità di governo? La democrazia rappresentativa dovrebbe essere superata – anche attraverso gli strumenti di comunicazione digitale – oppure è ancora la soluzione migliore ai problemi della comunità politica?
Queste domande si situano dentro un percorso storico che ha visto la politica in generale, e la democrazia in particolare, oggetto di cambiamenti rilevanti. Una periodizzazione storica del rapporto fra media e politica individua generalmente tre fasi (Sorice 2014): la prima riguarda gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento ed è contraddistinta dalla centralità del comizio e dalle campagne sul territorio; la seconda, dagli anni Settanta agli Ottanta, è quella della centralità televisiva; la terza, dagli anni Novanta fino al prossimo futuro, è contrassegnata dall’importanza di Internet, del web 2.0 e delle forme di comunicazione digitali. Il passaggio dalla prima alla seconda fase ha registrato una progressiva crisi dei partiti burocratici di massa e delle loro forme di mediazione. Questi partiti, basandosi su ideologie ben riconoscibili e sulle loro capacità organizzative, hanno svolto durante il Novecento un importante ruolo di collettori di interessi, di idee e di passioni. Ad un graduale indebolimento dei partiti e della loro funzione di interpreti e rappresentati degli interessi dei cittadini, quindi, ha corrisposto l’aumento dell’importanza dei mezzi di comunicazione che ora definiamo “tradizionali” (giornali, radio ma soprattutto televisione). Sono stati loro, per molti anni, a “collegare” i rappresentanti democratici con i cittadini, “spostandosi” in qualche modo sempre più al centro dei processi politici e sociali (Morcellini 1997; Mazzoleni 1998; Mellone 2002).
Ora siamo nel passaggio dalla seconda alla terza fase, ovvero da quella della centralità della televisione a quella dei mezzi digitali di informazione e di comunicazione. Le molte forme del rapporto fra media digitali e democrazia liberale sono, quindi, in evoluzione e il dibattito scientifico a proposito non è statico bensì dinamico, non è univoco bensì plurale. Semplificando, si potrebbe dire che la letteratura si manifesta sia in interpretazioni ottimistiche, in cui si pensa che la rete possa ridefinire le relazioni fra potere e cittadini, rinnovare le forme della democrazia e trasformare le istituzioni, sia attraverso i sostenitori della “normalizzazione”, secondo cui l’utilizzo dei media digitali non finirà per favorire cambiamenti rilevanti nel funzionamento dei sistemi democratici e avrà conseguenze di tipo incrementale (Margolis, Resnick 2000; Chadwick 2006; Hindman 2009).
Data questa situazione, abbiamo deciso di studiare le traiettorie della democrazia in un’epoca digitale rendendo innanzitutto conto della pluralità delle posizioni e dei punti di vista. Detto con un gioco di parole abbiamo deciso di affrontare i nostri interrogativi interrogando, per poi proporre alcune nostre considerazioni. La prima parte del lavoro di ricerca (riportata nel secondo capitolo e nell’appendice del libro), dunque, consiste in una serie di interviste ad alcuni dei massimi esperti del rapporto fra media digitali e democrazia: Sara Bentivegna, Ilvo Diamanti, Luciano Floridi, Paolo Mancini, Gianpietro Mazzoleni, John O’Sullivan, Angelo Panebianco, Gianfranco Pasquino, Michele Sorice, Slavko Splichal, Nadia Urbinati. Si tratta di sei sociologi, quattro politologi e un filosofo, sette dei quali lavorano presso università italiane e quattro presso istituzioni di ricerca estere. Crediamo che il coro di voci che ne è emerso possa rendere conto dei temi, dei problemi e della loro complessità: l’ibridità fra vecchio e nuovo, la crisi degli intermediari tradizionali (come i partiti) e l’affacciarsi di inediti, il problema della frammentazione e della polarizzazione della sfera pubblica, le sfide della partecipazione online fra difficoltà e prospettive, l’ipotesi della cosiddetta democrazia digitale.
Nei successivi tre capitoli, invece, ci concentreremo sulle questioni che a nostro parere sono emerse in maniera più ricorrente e rilevante durante le interviste, proponendo un ulteriore sviluppo che reinterpreta i concetti di sfera pubblica e di democrazia.
Il primo macro-tema sarà affrontato nel terzo capitolo e riguarderà le domande: agli intermediari tradizionali si stanno sostituendo nuovi intermediari?; il web è un luogo di informazione libera ed autonoma o le notizie si stanno organizzando attorno a nuovi centri di potere di cui dobbiamo tenere conto? La nostra risposta sarà centrata sul concetto di “neointermediazione”: se è vero che − a causa delle innovazioni digitali nell’informazione e nella comunicazione − alcuni intermediari tradizionali sono in crisi e vedono diminuire il proprio pubblico (si pensi, ad esempio, ai giornali cartacei), suggerendo un processo di “disintermediazione”, è altrettanto vero che nuovi intermediari digitali si pongono fra gli utenti e i fatti del mondo e stanno emergendo con crescente forza e diffusione, facendo concludere che ad un processo di disintermediazione rispetto ai mass media classici se ne stia affiancando uno di “neointermediazione”.
Il secondo marco-tema, invece, sarà affrontato nel quarto capitolo e si svilupperà attorno agli interrogativi: Internet promuove un “pluralismo dialogico” o rischia di nutrire un “pluralismo polarizzato”? Tende ad arricchire o a minare la democrazia? A questo proposito proporremo i concetti di “paradosso del pluralismo” e, nella conclusione del libro, di “democrazia dialogica imperfetta online”. L’idea di “paradosso del pluralismo” può essere così presentato: i media digitali aumentano per tutti la possibilità di esprimere la propria voce (in termini quantitativi) ma al tempo stesso sembra aumentare anche la distanza fra queste voci, la loro polarizzazione, mettendo in difficoltà il raggiungimento delle finalità di un sistema politico pluralista (in termini qualitativi). Detto in altri termini, mentre da un punto di vista meramente quantitativo Internet ha aumentato notevolmente il numero di fonti informative a disposizione dei cittadini, aumentando la pluralità delle fonti, da un punto di vista qualitativo meccanismi algoritmici fanno in modo che gli utenti siano esposti alle informazioni o alle notizie che gradiscono (facciamo riferimento alla cosiddette echo chambers), aumentando la frammentazione e la polarizzazione, diminuendo la possibilità di casual encounters, mettendo quindi in crisi il pluralismo inteso come concordia discors, ovvero come un approssimarsi ad un consenso corroborato dal dissenso.
Infine, nel quinto capitolo ci chiederemo se la democrazia rappresentativa dovrebbe essere superata – anche attraverso il ricorso agli strumenti delle tecnologie digitali – oppure se è ancora la soluzione migliore ai problemi della comunità politica. La democrazia è un sistema storicamente in evoluzione, non c’è quindi da stupirsi se le forme con cui si manifestano i principi della libertà e dell’eguaglianza si rinnovano adattandosi al contesto sociale e tecnologico. La flessione nella partecipazione politica convenzionale e partitica sembra condurre a due strade diverse: adattare le istituzioni alla minore partecipazione oppure stimolare una maggiore partecipazione. Nel primo caso si verificano, come effettivamente già sta accadendo (es. Commissione europea, banche centrali), spinte tecnocratiche, che tuttavia possono trasformare progressivamente e con diverse intensità la democrazia in un regime di tutela. Nel secondo caso, invece, si sviluppano pratiche di partecipazione diretta e digitale (si pensi alle politiche pubbliche e ai bilanci partecipativi, alle petizioni online, alle piattaforme di politica collaborativa ecc.), che hanno come obiettivo quello di rigenerare gli ideali democratici e che potrebbero integrare la democrazia rappresentativa. […]
Sia il ricorso a tendenze tecnocratiche sia il ricorso a forme di democrazia digitale, con tutti i limiti (e pericoli) che sottolineeremo, sembrano in fondo rispondere ad un intento simile: dare il più possibile spazio a decisioni esperte e competenti, da un lato, oppure a decisioni il più possibile coinvolgenti (ad esempio attraverso processi decisionali partecipativi o deliberativi), dall’altro lato. Entrambe le operazioni cercano di valorizzare elementi – le élites e i cittadini, la classe dirigente e la massa – parimenti essenziali alla democrazia dei moderni [ma attivando una scomposizione della democrazia rappresentativa]. Con l’importante differenza che, mentre nel primo caso si rischia di promuovere un regime di tutela (di stile paternalistico), nel secondo caso le decisioni sarebbero almeno teoricamente maturate attraverso procedure che coinvolgono “più direttamente” i cittadini comuni (i quali sono necessari − ma anche sufficienti? − per il raggiungimento di “buone” decisioni democratiche).

Gabriele Giacomini

Author: Gabriele Giacomini